La giurisprudenza della Rota Romana sul consenso matrimoniale
(1908-2008)
1. – Promosso dall’Associazione Canonistica Italiana, in collaborazione con l’Associazione Riviera del Conero, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Regione Marche, della Provincia di Ancona e di altri Enti pubblici del territorio, si è svolto nel Palazzo Illirico di Loreto dal 9 al 12 settembre 2008 il XL Congresso Nazionale di Diritto Canonico. Speciale occasione nella scelta del tema congressuale è stata offerta dalla ricorrenza del primo centenario della ricostituzione del Tribunale Apostolico della Rota Romana avvenuta il 29 giugno 1908. 2. – Tale tribunale ha, invero, origini molto antiche, precisamente dalla Cancelleria Apostolica ai tempi del pontefice Lucio III (1181-1185): era composta dal cancelliere che la reggeva, dall’auditor contradictorum e dai cappellani. Questi ultimi erano in pratica dei «consiglieri» cui era affidato lo studio e l’istruzione delle controversie sottoposte al giudizio della Sede apostolica. Successivamente, sotto il pontificato di Innocenzo III (1198-1216), in considerazione dell’accresciuto accentramento del governo della Chiesa e del conseguente incremento del numero delle cause deferite al pontefice, ai cappellani fu demandato altresì la funzione di emanare essi stessi le sentenze, ancorché col parere previo dei cardinali e ferma restante la prerogativa papale di confermarle o meno. Solo dopo il pontificato di Gregorio X (1271-1276) i cappellani formarono un tribunale stabile ed istituzionale secondo l’accezione più classica del termine. Con Papa Bonifacio VIII (1294-1303) essi assunsero il titolo di cappellani Papae ac auditores causarum Palati Papae. Grande fu, quindi, l’autorevolezza e l’importanza che la Sacra Romana Rota (come allora venne denominata) conquistò in tutto il mondo cattolico durante il XIV secolo e la sua giurisprudenza, grazie alla particolare sapienza dei giuristi che componevano tale tribunale, ebbe peraltro significativo influenza nella costituzione dello Ius Commune. In particolare, l’opinione più accreditata nei dati storici sull’origine del nome «Rota» si ricollega ad uno speciale scaffale su ruote di forma circolare, situato nella sala ove era solito riunirsi il collegio dei giudici (c.d. «uditori») e nel quale erano collocati i fascicoli delle cause in trattazione. In tal modo, ciascun uditore, facendo ruotare lo scaffale, poteva avere immediato accesso a quanto fosse oggetto di sua consultazione. Sembra, peraltro, che il primo documento ufficiale riguardante la Rota sia stata la Costituzione pontificia «Ratio iuris» di Papa Giovanni XXII del 16 settembre 1331, seguita negli anni successivi dalla prima raccolta organica delle decisioni rotali. Tuttavia, a partire dal XVI secolo, il prestigio conquistato dalla Rota Romana incorse in un progressivo periodo di decadenza, riconducibile sia ad un consolidamento delle sovranità nazionali e alla diffusione del protestantesimo, sia alla diversa azione organizzativa della Curia Romana ad opera di Papa Sisto V tramite la Costituzione apostolica «Immensa Aeterna Dei» dell’anno 1588, con la quale vennero attribuite maggiori e più importanti prerogative alle Congregazioni della Sede apostolica, anche di natura giudiziaria precedentemente devolute alla Rota; tra esse, la Congregazione del Concilio era deputata alle cause matrimoniali. Fu solo, quindi, sotto il pontificato di Papa Pio X (1903-1914) che essa ricevette rinnovato impulso con la riorganizzazione della Curia Romana operata da tale pontefice, nell’ambito di una diversa e più razionale distribuzione delle competenze proprie a ciascun Dicastero, con cui si intese tracciare una netta distinzione tra le funzioni amministrative e quelle propriamente giudiziarie, come organizzativamente disciplinate nella Costituzione «Sapienti Consilio» del 29 giugno 1908. Fu riaffermato, pertanto, il ruolo della Sacra Romana Rota che riprese stabilmente a svolgere la sua funzione giudiziaria, esercitata da un collegio composto da giudici appartenenti a diverse nazioni, sotto la coordinazione e guida di Mons. Michele Lega (che alcuni dopo sarà nominato cardinale dallo stesso pontefice), uno dei maggiori esperti di diritto canonico dell’epoca, designato suo primo decano. Funzione che andrà progressivamente espandendosi nel corso degli anni successivi, ricollocando la Rota a pieno titolo in una posizione di primario prestigio nell’ordinamento giudiziario della Chiesa, considerata quale prezioso termine di riferimento e di guida nell’amministrazione della giustizia per tutti gli altri tribunali di grado inferiore, ai quali fornisce con la propria giurisprudenza un rilevante ed insostituibile contributo per rispondere al meglio alle esigenze della Giustizia e dei Fedeli. Attualmente la Rota – da circa venti anni – alla tradizionale denominazione di «Sacra Romana Rota» ha sostituito quella di «Tribunale Apostolico della Rota Romana» e rinviene la sua vigente regolamentazione e disciplina nella Costituzione apostolica «Pastor bonus» sulla nuova organizzazione della Curia Romana, promulgata da Papa Giovanni Paolo II il 18 aprile 1988, cui è affiancata una legge speciale (le c.d. «Normae Romanae Rotae» del 18 aprile 1994) riguardante sia la strutturazione interna del tribunale sia la prassi processuale cui esso deve attenersi nella trattazione delle cause. Esso è composto da circa venti uditori appartenenti a varie nazioni in quanto deve rappresentare tutta la Chiesa cattolica. Devono essere sacerdoti, laureati in diritto canonico e dotati di particolare competenza giuridica, oltre che godere di indiscussa fama. La loro nomina è riservata al Pontefice. Presiede il tribunale il decano, sempre di diretta nomina pontificia, con compiti di direzione e vigilanza sul suo corretto funzionamento. Salvo casi particolari, la Rota è tribunale ordinario di appello in seconda o terza istanza sulle cause decise dai Tribunali di grado inferiore. L’oggetto delle cause ivi trattate attiene in prevalenza alla materia matrimoniale, ossia alla verifica della nullità o meno del vincolo matrimoniale contratto in forma canonica. Con la ricostituzione della Rota nell’anno 1908 è stata ristabilita la pubblicazione della sua giurisprudenza con cadenza annuale. 3. – Nel suo messaggio di saluto rivolto ai congressisti, il Prof. Paolo Moneta (presidente dell’Associazione Canonistica Italiana) ha inteso in primo luogo delinearne il fondamentale obiettivo, finalizzato a tracciare una sorta di consuntivo di questo primo secolo di rinnovata attività della Rota Romana, ripercorrendo a grandi linee l’attività svolta da questo tribunale e, al tempo stesso, esaltandone la pregevole funzione esercitata sia nell’amministrazione giudiziaria della Chiesa che nell’evoluzione del diritto canonico, nonché il conseguente influsso conferito con la propria giurisprudenza alle riforme legislative susseguitesi nel considerato periodo. A riguardo, ha specificamente osservato il presidente: “Nei cento anni trascorsi dalla restitutio della Rota molte cose sono cambiate. Si sono avute profonde trasformazioni nel costume, nella mentalità, negli stili di vita, nei rapporti familiari e sociali. Il matrimonio, che i giudici rotali sono chiamati a giudicare, si cala in un contesto che ha visto cambiare radicalmente la posizione della donna, l’influsso della famiglia sulle scelte matrimoniali, il modo di intendere e vivere la sessualità, l’atteggiamento verso la procreazione”. Parallelamente, ha proseguito il presidente, “un profondo rinnovamento si è avuto nell’ambito della stessa Chiesa: con la dottrina del Concilio Vaticano II essa è vista come popolo di Dio dove ciascuno è chiamato a svolgere un ruolo di partecipazione … dove la realtà sacramentale del matrimonio sempre più si lega ad una comunità di vita e d’amore coniugale … Queste nuove concezioni hanno portato alla ribalta la posizione dei singoli fedeli, con l’uguale dignità che va riconosciuta a ciascuno di essi, con i diritti di cui essi sono portatori anche di fronte alle autorità e con la conseguente esigenza di una loro più efficace tutela in termini di organizzazione giudiziaria e di garanzie processuali”. Si è soffermato, quindi, il presidente sui profondi cambiamenti registratisi anche a livello legislativo, dalla promulgazione del primo Codice di diritto canonico del 1917 fino alla riforma operata con il successivo Codice del 1983, quest’ultima accompagnata da svariate ed importanti Costituzioni apostoliche, nonché da uno specifico Codice per le Chiese orientali del 1990. Ragion per cui, al cospetto di tale complessiva e dinamica attività, “la giurisprudenza costituisce un punto di osservazione privilegiato”, nella cui formazione “il giudice non si limita ad un’applicazione formale della legge, ad un’operazione meramente logica e di tecnica giuridica, ma inserisce il precetto legislativo nel concreto delle vicende umane, mette a confronto l’astratta volontà del legislatore con la vita vissuta di ogni singola persona”. Ne consegue che “è quindi la giurisprudenza che per prima si fa carico di recepire i mutamenti sociali, di avvertire le nuove esigenze di giustizia che da essi scaturiscono, di individuare e tracciare le linee per rendere la legge sempre più adeguata a queste esigenze”. Nelle sue riflessioni conclusive, il presidente Moneta ha pertanto sottolineato che “soprattutto quest’ultima funzione ha avuto modo di emergere negli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II, quando si fece particolarmente sentire l’esigenza di un adeguamento della legislazione canonica vigente …. alla dottrina conciliare”. Infatti, “senza attendere i tempi, necessariamente lunghi, dell’opera di riforma legislativa, la Rota ha saputo valorizzare il potenziale fortemente innovativo insito nei principi conciliari, arrivando ad incidere efficacemente nel sistema giuridico per mezzo di un’attività interpretativa particolarmente sensibile ed attenta ai segni dei tempi”. 4. – Ha fatto quindi seguito la prolusione di apertura dei lavori congressuali tenuta da Mons. Antoni Stankiewicz (decano del Tribunale della Rota), il quale ha proposto preliminarmente qualche riflessione sulla concezione della giustizia nel Foro ecclesiale e, in particolare, sulle modalità con cui debba essere intesa quella specificamente esercitata dalla Rota Romana nell’ambito della sua attività giudiziale, ponendo in risalto la fondamentale essenza del processo canonico, quale imprescindibile strumento di attuazione della giustizia stessa. In tale prospettiva, ha ricordato l’illustre relatore che “tutti i fedeli nel foro ecclesiale devono essere trattati ugualmente, anche se in modo proporzionale, ciascuno secondo quanto gli compete”, atteso che “la normativa ecclesiale riconosce a tutti i fedeli il diritto alla protezione giudiziale dei diritti con un giusto processo, cioè che si svolge secondo giustizia e offre le necessarie garanzie”. Del resto, la Rota Romana, che per la sua funzione potrebbe opportunamente – come ha evidenziato il relatore – assumere la denominazione di «Corte di giustizia ecclesiale», offre garanzie di uguaglianza a coloro che vi si rivolgono, assicurando sempre – ad esempio – che le parti siano assistite da un avvocato, anche in modo gratuito ricorrendone i dovuti presupposti. Ovviamente, la giustizia esercitata in ambito canonico è quella che investe soltanto le relazioni tra gli esseri umani e non quelle di costoro con Dio; ragion per cui, pur non potendosi astrattamente negare un certo contributo teologico nell’ambito della giustizia ecclesiale, essa ne risulta direttamente svincolata. Infatti – come ha osservato ancora Mons. Stankiewicz – “l’oggetto degli atti di giustizia ecclesiale da realizzare a livello orizzontale, cioè nel dare a ciascuno ciò che è suo, nel campo contenzioso comprende i diritti delle persone fisiche e giuridiche da perseguire o da rivendicare; e nel campo penale i delitti, per l’irrogazione o la dichiarazione della pena”. L’attuazione di tale giustizia avviene, pertanto, tramite il Codice canonico e le sue Norme speciali, finalizzate ad assicurare un processo equo e giusto, il quale – come già ricordava Giovanni Paolo II nella sua Allocuzione alla Rota Romana nel gennaio del 1990 – “rappresenta una progressiva conquista di civiltà e di rispetto della dignità dell’uomo” ed è, quindi, “oggetto di un diritto dei fedeli (cf. can. 221) e costituisce al contempo un’esigenza del bene pubblico della Chiesa”, poiché le norme processuali canoniche vanno osservate “come altrettante manifestazioni di quella giustizia strumentale che conduce alla giustizia sostanziale”. Tale linea di pensiero si rinviene condivisa anche dall’attuale pontefice Benedetto XVI, allorquando, nell’Allocuzione alla Rota Romana del gennaio 2006, ha affermato che fondamento costitutivo del processo non è certo “di complicare inutilmente la vita ai fedeli né tanto meno di esacerbarne la litigiosità, ma solo di rendere un servizio alla verità. L’istituto del processo in generale, del resto, non è di per sé un mezzo per soddisfare un interesse qualsiasi, bensì uno strumento qualificato per ottemperare al dovere di giustizia di dare a ciascuno il suo. Il processo, proprio nella sua struttura essenziale, è istituto di giustizia e di pace. In effetti lo scopo del processo è la dichiarazione della verità da parte di un terzo imparziale, dopo che è stata offerta alle parti pari opportunità di addurre argomentazioni e prove entro un adeguato spazio di discussione. Questo scambio di pareri è normalmente necessario, affinché il giudice possa conoscere la verità e, di conseguenza, decidere la causa secondo giustizia”. Da ciò scaturisce che “ogni sistema processuale deve tendere, quindi, ad assicurare l’oggettività, la tempestività e l’efficacia delle decisioni dei giudici”. Come ha ricordato Mons. Stankiewicz, la decisione giudiziale finale è perciò il mezzo attuativo della giustizia nei riguardi delle parti nel processo, sia sotto il profilo formale che sostanziale, che accomuna a tal fine tutti i tribunali. Di conseguenza, “sarebbe improprio – come ha inoltre osservato Benedetto XVI nella sua Allocuzione alla Rota Romana del gennaio del corrente anno – ravvisare una contrapposizione fra la giurisprudenza rotale e le decisioni dei tribunali locali, i quali sono chiamati a compiere una funzione indispensabile nel rendere immediatamente accessibile l’amministrazione della giustizia e nel poter indagare e risolvere i casi nella loro concretezza talvolta legata alla cultura e alla mentalità dei popoli. In ogni caso – nella conclusione del pontefice – tutte le sentenze devono essere sempre fondate sui principi e sulle norme comuni di giustizia”. 5. – Le relazioni che si sono susseguite durante le giornate congressuali sono state quindi incentrate sull’esame di varie tipologie dei vizi del consenso matrimoniale, quali:
Particolarmente significativi sono stati anche i numerosi richiami giurisprudenziali, dalla ricostituzione della Rota ad oggi, con i quali gli autorevoli Relatori hanno rispettivamente accompagnato l’approfondimento di ciascuno dei richiamati titoli di nullità, nell’intento di cogliere gli indirizzi comuni ed offrire agli operatori del diritto canonico un‘antologia giuridica di sicura utilità nell’espletamento della loro azione forense. Salerno, 20 settembre 2008 Carmine Cotini |