Per la validità del matrimonio canonico si richiede non solo che gli sposi siano liberi da determinati impedimenti e che esprimano un consenso efficace, cioè esente da vizi, ma che sia anche obbligatoriamente osservata (tranne dispensa in talune ed eccezionali circostanze) una specifica forma giuridica di celebrazione, che ne garantisca piena pubblicità ad ogni effetto legale, secondo le prescrizioni del diritto positivo della Chiesa. Queste rinvengono la propria fonte più remota nel decreto Tametsi emanato dal Concilio di Trento nel 1563 (di qui la denominazione ancor oggi attuale di «forma tridentina»), integrato con taluni aggiustamenti dal successivo decreto Ne temere del 1908.
La forma giuridica non va tuttavia confusa con la forma sacramentale del matrimonio che attiene alla sostanza del sacramento, in difetto della quale non esiste il matrimonio stesso; come pure non va confusa con la forma liturgica, che attiene ai riti religiosi che accompagnano il matrimonio cristiano, prescritti solo per la liceità e non per la validità dello stesso.
Alla forma canonica sono vincolati solo i battezzati nella Chiesa cattolica e da essa non separati con un atto formale (can. 1117).
In particolare, per una valida forma giuridica di celebrazione si richiede:
- che i nubendi siano presenti contemporaneamente, sia personalmente che tramite procuratore, e che manifestino il loro consenso nuziale verbalmente, ovvero con segni equipollenti qualora non possano parlare; nel caso di celebrazione a mezzo procuratore, è necessario che questi sia fornito di un mandato speciale conferito dal mandante, opportunamente autenticato (cann. 1104-1105);
- che il matrimonio sia celebrato innanzi all’Ordinario del luogo o del parroco nell’ambito dei confini territoriali loro assegnati (fatta salva la potestà universale del Romano Pontefice), nonché alla presenza di due testimoni (cann. 1108-1109);
- il conferimento della delega di tale facoltà ad altro ministro di culto da parte di taluna di dette autorità e sempre entro i confini del loro territorio, qualora esse non assistano personalmente al matrimonio.
La delega deve essere conferita espressamente e a persona determinata e può essere:
- generale: se conferita in forma scritta per qualunque matrimonio;
- speciale: se conferita all’occorrenza per un determinato matrimonio, anche solo verbalmente, oppure accompagnata da fatti e comportamenti effettivamente concludenti dai quali si deduca l’effettiva volontà di conferirla, come – ad esempio – nel caso in cui il parroco aiuti il sacerdote celebrante a prepararsi e/o lo accompagni e/o lo assista all’altare (can. 1111).
In tale seconda ipotesi occorre, comunque, che vi sia la consapevolezza della necessità della delega sia da parte del delegante che del delegato, con conseguente accettazione della stessa da parte del delegato medesimo, magari anche in modo implicito, intendendosi per tale la richiesta stessa della delega.
Dagli enunciati principi consegue che il matrimonio è nullo per difetto di forma canonica allorquando, pur ricorrendo la necessità della delega, questa non sia stata formalmente richiesta al competente parroco o al suo Ordinario oppure sia stata richiesta ma non concessa, come – ad esempio – può accadere nel caso in cui il matrimonio venga celebrato da un qualsiasi sacerdote in una qualsiasi chiesa o parrocchia.
Né ha rilevanza giuridica al fine della validità del matrimonio: a) la delega presunta, cioè non conferita, ma ritenuta tale per semplice congettura; b) la delega interpretativa, cioè non conferita, ma che si pensa sarebbe stata conferita in presenza di determinate circostanze; c) la delega tacita, cioè di pure tolleranza, che si fonda sul silenzio, con esclusione di qualsiasi segno esteriore che denoti un chiaro atto di volontà di conferirla.