Il Codice di diritto canonico precisa che tutti possono contrarre matrimonio, se non ne hanno qualche proibizione dal diritto (can. 1058). Tale proibizione costituisce pertanto un c.d. «impedimento matrimoniale», intendendosi per tale qualche circostanza che non consente appunto la celebrazione del matrimonio ad una determinata persona, considerata giuridicamente inabile a compiere tale specifico ed importante atto (can. 1073).
Complessivamente sono dodici gli impedimenti che la legislazione ecclesiastica frappone ad una valida celebrazione matrimoniale nei confronti di soggetti battezzati nella Chiesa cattolica e rappresentano una delle tre categorie (insieme ai vizi del consenso e al difetto di forma canonica della celebrazione) nelle quali sono giuridicamente suddivisi i complessivi motivi di nullità del vincolo matrimoniale. Essi sono, quindi, delle leggi che restringono il libero esercizio di un diritto (quello al matrimonio) e vengono definiti «dirimenti» (dal latino dirimere, cioè infirmare, invalidare o render vano); ne consegue che, qualora il matrimonio venisse celebrato in presenza di taluno di essi, cioè da una persona in condizione di inabilità giuridica, sarebbe assolutamente invalido.
A motivo della loro fonte, alcuni impedimenti sono di diritto divino (non dispensabili), mentre altri sono di diritto positivo-ecclesiastico (dispensabili). Essi sono:
1. Età (can. 1083)
In linea generale, è vietato il matrimonio agli uomini al di sotto degli anni 16 e alle donne degli anni 14. Tuttavia, nell’intento della Chiesa di assimilare il più possibile tale normativa a quella statuita dalle legislazioni civili nei singoli Stati, per l’Italia l’età minima è stata elevata ad anni 18 sia per l’uomo che per la donna, in concordanza appunto con quella consentita per il matrimonio civile.
Trattasi di impedimento di diritto ecclesiastico e può essere dispensato dall’Ordinario del luogo in casi eccezionali.
2. Impotenza «coeundi» (can. 1084)
Con tale terminologia si intende l’incapacità ad intrattenere intimità fisiche coniugali, sia da parte dell’uomo che della donna. Pertanto, invalida il matrimonio l’impotenza che sia ad esso antecedente e perpetua, mentre non lo invalida l’impotenza sopravvenuta alla sua celebrazione, ovvero nel caso in cui si possa da essa guarire con ricorso a semplici rimedi (in quest’ultimo caso si parla di «impotenza temporanea»).
Trattasi di impedimento di diritto divino (naturale) e non può essere dispensato.
Dall’impotenza va distinta la sterilità, la quale impedisce ad una persona di avere figli, pur potendo avere una regolare attività sessuale. Essa non invalida il matrimonio e, pertanto, non lo rende nullo. Lo potrebbe, però, rendere nullo qualora – in prospettiva coniugale – la capacità procreativa sia intesa da taluno degli sposi quale qualità determinante ed imprescindibile nella persona dell’altro (can. 1097, §2), ovvero sia posta come condizione al matrimonio (can. 1102). In tale ipotesi, infatti, il matrimonio sarebbe nullo per difetto di consenso e non per impotenza (cfr. I vizi del consenso matrimoniale, n. 5).
3. Vincolo da precedente matrimonio (can. 1085)
È vietato il matrimonio a colui che sia già legato da precedente e valido vincolo matrimoniale.
Trattasi di impedimento di diritto naturale e divino, che discende dalle proprietà essenziali (unità ed indissolubilità) di cui è connotato il matrimonio canonico e non può assolutamente essere dispensato.
Tale impedimento esiste anche nella legislazione italiana.
4. Disparità di culto (can. 1086)
È vietato il matrimonio tra due persone, di cui l’una sia battezzata nella Chiesa cattolica(e da essa non separata con atto formale) e l’altra non battezzata.
Trattasi di impedimento di diritto ecclesiastico e può essere dispensato sia dalla Santa Sede che dall’Ordinario del luogo (cfr. in questo sito Il matrimonio tra cattolici e islamici).
5. Ordine sacro (can. 1087)
È vietato il matrimonio a coloro che siano già costituiti nei sacri ordini (episcopato, presbiterato e diaconato), in considerazione del carattere perpetuo ed indelebile di cui essi sono connotati, anche qualora intervenga la perdita dello stato clericale, la quale non comporta di per sé la dispensa dall’obbligo del celibato.
Trattasi di un impedimento di diritto ecclesiastico e può essere dispensato solo dalla Santa Sede.
6. Voto pubblico di castità (can. 1088)
È vietato il matrimonio a coloro che siano vincolati dal voto di castità, espresso in modo pubblico e perpetuo in un istituto religioso di diritto pontificio o diocesano. Il voto è definito dal can. 1191 §1, secondo il quale esso «è una promessa deliberata e libera fatta a Dio». In mancanza di questi due elementi, il voto non è valido, come – ad esempio – se sia stato emesso per violenza, timore grave o dolo.
Trattasi di un impedimento di diritto ecclesiastico ed il voto, qualora dispensato dalla Santa Sede, fa venir meno l’impedimento medesimo.
7. Ratto a scopo di matrimonio (can. 1089)
Non può costituirsi valido matrimonio tra un uomo e una donna da lui rapita o comunque trattenuta, al fine di contrarre matrimonio con la stessa e contro la sua volontà, pur in presenza di una preesistente relazione sentimentale tra i due soggetti. Non si configura, invece, rapimento se il rapito è l’uomo.
Trattasi di impedimento di diritto ecclesiastico e può essere dispensato dall’Ordinario del luogo solo nel caso in cui la donna non possa essere separata dal suo rapitore.
8. Crimine di coniugicidio (can. 1090)
È vietato il matrimonio a chi abbia ucciso il proprio coniuge al fine di contrarre matrimonio con altra persona; come pure a coloro che, con mutuo accordo e cooperazione fisica o morale, abbiano ucciso un coniuge, al fine di contrarre matrimonio tra loro.
Trattasi di impedimento di diritto ecclesiastico e può essere dispensato dalla Santa Sede solo per motivi gravi e particolari.
Tale impedimento esiste anche nella legislazione italiana, la quale lo configura anche nel caso in cui il coniugicidio sia stato solo tentato.
9. Consanguineità (can. 1091)
Per consanguineità (o parentela) si intende il vincolo di sangue tra persone che discendono per generazione dal medesimo stipite vicino ed il suo computo si effettua per linee e gradi.
È vietato, pertanto, il matrimonio tra gli ascendenti e i discendenti in linea retta, sia legittimi che naturali (es.: tra padre e figlia, tra madre e figlio, tra nonno e nipote, ecc.); mentre in linea collaterale è vietato solo fino al quarto grado incluso (es.: tra fratello e sorella, tra zio e nipote, tra zio e pronipote, tra primi cugini).
In caso di consanguineità in linea retta di qualsiasi grado e in linea collaterale di secondo grado, trattasi di impedimento di diritto naturale e non può essere dispensato. In caso di consanguineità in linea collaterale di terzo e quarto grado, trattasi di impedimento di diritto ecclesiastico e può essere dispensato sia dalla Santa Sede che dall’Ordinario del luogo.
Tale impedimento esiste anche nella legislazione italiana.
10. Affinità (can. 1092)
Per affinità si intende il vincolo personale che si stabilisce tra un coniuge e i consanguinei dell’altro ed il suo computo parimenti si effettua per linee e gradi.
È vietato, pertanto, il matrimonio tra affini in linea retta in qualsiasi grado, mentre non lo è in linea collaterale.
Trattasi di un impedimento di diritto ecclesiastico, in quanto il vincolo è di tipo giuridico, più che naturale in senso proprio (come la consanguineità) e può essere dispensato dall’Ordinario del luogo in casi eccezionali.
Tale impedimento esiste anche nella legislazione italiana.
11. Pubblica onestà (can. 1093)
Con tale terminologia si intende quel rapporto di coppia (pseudo-coniugale) che si stabilisce nell’ambito di una convivenza derivante da un matrimonio invalido o dal concubinato notorio e pubblico. Esso, pertanto, dirime il matrimonio tra l’uomo e le consanguinee della donna nel primo grado della linea retta, e viceversa (cioè fra l’uomo e la madre o la figlia della donna, nonché tra la donna e il padre o il figlio dell’uomo).
Trattasi di un impedimento di diritto ecclesiastico e può essere dispensato dall’Ordinario del luogo per gravi motivi.
12. Parentela legale (can. 1094)
Oltre alla parentela naturale, che sorge «ex se» dalla generazione e trova il suo fondamento nel vincolo di sangue, esiste una parentela legale, sancita dalla legge e fondata sull’adozione.
È vietato, pertanto, il matrimonio tra loro nella linea retta e in qualsiasi grado, mentre nella linea collaterale solo nel secondo grado (cioè fra l’adottato e l’adottante e i figli di questi; ovvero fra gli stessi adottati, se sono più di uno e di diverso sesso; ovvero tra l’adottante e la moglie dell’adottato, e viceversa).
Trattasi di un impedimento di diritto ecclesiastico e può essere dispensato dall’Ordinario del luogo.
Tale impedimento esiste anche nella legislazione italiana.