SOMMARIO
Separazione dei coniugi | Scioglimento del vincolo matrimoniale

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Separazione dei coniugi

Già dai profili generali sul matrimonio canonico, si deducono agevolmente gli effetti che esso produce sullo stato coniugale (can. 1055); gli stessi si rinvengono peraltro ulteriormente richiamati nel Codice di diritto canonico, laddove si afferma il principio della parità dei coniugi, nell’ambito di una convivenza durevole e fedele da cui sorgono diritti e doveri reciproci nell’adempimento di tutto quanto occorra alla società coniugale, in spirito di totale comunione e mutuo sostegno, nella quale riveste componente essenziale l’educazione della prole negli aspetti più ampi. 
Tuttavia, lo stesso Codice prevede che, allorquando particolari fatti o circostanze intervengano a turbare la convivenza dei coniugi tale da renderla intollerabile, questa può legittimamente essere sospesa o addirittura cessare del tutto con la loro separazione personale, con conseguente sospensione di determinati effetti, ma lasciando giuridicamente intatto il vincolo.
Ad esempio: ciò può accadere nel caso in cui taluno dei coniugi si renda responsabile di adulterio, ovvero ponga in essere comportamenti gravemente lesivi del bene sia spirituale che corporale dell’altro coniuge o della prole, oppure renda troppo dura la vita coniugale.
In ambito processuale canonico, la competenza per le cause di separazione coniugale appartiene al vescovo diocesano; tuttavia, nel caso in cui i coniugi siano sposati anche civilmente, la Chiesa preferisce lasciare alla giurisdizione statale le opportune decisioni in materia, soprattutto in considerazione delle conseguenze di natura patrimoniale che essa frequentemente comporta. 

 

Scioglimento del vincolo matrimoniale

Nonostante il carattere indissolubile del matrimonio, la Chiesa pur prevede che esso possa essere sciolto, nel caso in cui i coniugi non abbiano avuto rapporti sessuali, ovvero non abbiano posto in essere un atto potenzialmente idoneo alla generazione della prole. Si parla, in tali circostanze, di «matrimonio rato e non consumato».
Con tale terminologia si fa, quindi, riferimento ad un matrimonio giuridicamente valido tra due persone battezzate (matrimonio-sacramento) oppure tra una persona battezzata ed un’altra non battezzata.
Ricorrendo tale ipotesi, appartiene alla esclusiva prerogativa del Romano Pontefice – in virtù della speciale potestà vicaria ricevuta da Cristo – l’eventuale scioglimento del vincolo coniugale tramite un provvedimento denominato «dispensa», all’esito di un articolato itinerario processuale di carattere amministrativo, promosso ad iniziativa di taluno dei coniugi (o anche di entrambi) presso il competente tribunale diocesano, con prosieguo presso il Tribunale della Rota Romana (già Sacra Rota) in Roma, finalizzato ad accertare sia l’inconsumazione del matrimonio, sia la sussistenza di una giusta causa per la concessione della dispensa stessa.
Trattasi, comunque, di un provvedimento del tutto discrezionale, di grazia e non di giustizia, poiché esso non è finalizzato a tutelare dei diritti (come avviene nelle cause di nullità del matrimonio), ma comporta la concessione di un mero privilegio, che – per tale sua specifica connotazione – non è suscettibile di appello in caso di rigetto della domanda. Ne consegue che, pur nell’ipotesi di un matrimonio concordatario (cioè celebrato in forma canonica cui sia seguita trascrizione ai fini civili), detto provvedimento neppure può ricevere efficacia nell’ordinamento italiano tramite il procedimento di delibazione, rimanendo perciò la procedura divorzile l’unico rimedio processuale possibile per lo scioglimento del vincolo anche sotto il profilo giuridico-civilistico.
A differenza della sentenza dichiarativa della nullità del matrimonio, il provvedimento di dispensa produce effetti giuridici solo dal momento della sua pronuncia, non retroattivamente.